Tutti i segreti della frollatura, dal dry aging al wet aging - Affaritaliani.it

2022-11-14 15:19:23 By : Ms. Celia Wang

Solo al quarto giorno trovai una radura: la fame non mi faceva ragionare, i pensieri erano strozzati dallo stomaco. Al di là delle frasche, vicino a me, un vecchio caprone moribondo e ferito brucava sbruffando dal naso.C’era in lontananza una casa colonica e non potevo far rumore ma la fame era troppa. Mi avvicinai  all’animale mansueto, sfoderai la rivoltella e lo colpii in mezzo alla fronte. Avevo fatto rumore e non c’era tempo: presi il coltello e velocemente cercai di sezionare un tocco di carne dalla coscia. Faticai parecchio perché il muscolo era sodo. Ne ricavai un brandello grande quanto un pugno. Tornai nel bosco e mi allontanai inerpicandomi sul monte fino a fare sera. Fu solo allora che tirai fuori dalla giacca il pezzo di carne: srotolai il panno e mi sedetti con la bava alla bocca. La luna faceva breccia tra i rami. Forse ero al sicuro. Ora potevo finalmente nutrirmi. Puntai il coltello per staccare un boccone ma la punta non entrava, le fibre si piegavano come gomma fino a comprimersi e diventare impenetrabili. Cercai allora con la lama ma il filo era debole e non ce la faceva… tentai con tutta la forza di sezionare un lembo di carne ma era impossibile. L’azzannai e dopo lo strato gommoso quasi mi si spezzarono gli incisivi tanto era tenace. Sgagnai con tutta la forza, riprovai col coltello, provai a ciucciare il sangue. Nulla da fare. Morivo di fame ma capii che quella preziosa fibra non avrebbe saziato il mio corpo. Guardai la carne, l’agognai, e disperato scoppiai a piangere scavando la terra con le dita alla ricerca di vermi

Ecco, questo è ciò che vi accadrebbe se foste dei fuggitivi affamati e doveste mangiare un animale appena ucciso. I vostri denti non riuscirebbero a sbrandellare la carne. Perché? Perché dopo la morte i muscoli sono soggetti al rigor mortis: in circa un’ora e mezza la carne di un cadavere diventa durissima, perché si consumano le scorte di ATP (Adenosina Trifosfato) che permettono il rilassamento muscolare.

Dopo il rigor mortis comincia un processo chimico di disfacimento proteico che rilassa e smembra le fibre muscolari. Bene per i carnivori!

Questo processo è però l’inizio della putrefazione. Male per i carnivori! A meno che non vi piacciano i microrganismi anaerobici carnivori come voi…

Insomma: la carne “fresca” non si può mangiare, perché è troppo dura ed eventualmente anche indigesta. Quando si ammorbidisce, però, è in atto la putrefazione, la quale si avvale di pericolosi microrganismi. Che fare?

Da bambino pensavo che la frollatura fosse qualcosa di simile a Rocky Balboa che colpisce le mezzene appese, che fosse cioè una procedura meccanica di ammorbidimento della carne: credevo che le carcasse venissero in qualche modo “battute” ripetutamente per ammosciarle.

E invece no. La carne si intenerisce da sola col tempo. Ogni carne che compriamo per alimentarci è dunque frollata, poco o molto. Solo così si passa da muscolo a carne.

Il problema è non farla marcire. Frollare significa invecchiare la carne per renderla più morbida.

Il metodo più classico è quello del Dry Aging, la frollatura in cella. Si attua in celle speciali dove la temperatura rimane costante, dove l’ambiente è arieggiato e depurato attraverso filtri e lampade UV e dove l’umidità e il PH sono controllati. Il Dry Aging non si limita ad ammorbidire la carne, ma può conferire aromaticità, gusti unici, sapori davvero eccelsi e talvolta inediti. Dopo circa tre settimane, infatti, la carne smette di intenerirsi: ciò che poteva dare da questo punto di vista si è esaurito. Da qui in poi incomincia l’affinamento, la maturazione vera e propria.

Non tutte le carni, però, possono frollare a lungo: come per i vini, solo i migliori possono invecchiare. Le carni qualitativamente più scarse sono frollate pochi giorni e di conseguenza sono dure e poco saporite. I tempi dipendono molto dal tipo di animale, dalla razza e dal taglio. Le carni avicole frollano poco, le ovine e caprine di più, le carni bovine arrivano a estremi di quasi un anno e a volte oltre: per gustare una buona bistecca di manzo, non starei sotto le tre settimane di frollatura in cella.

Le lunghe frollature in Dry Aging avvengono sotto la supervisione esperta di macellai che sanno quello che fanno e che vogliono. A seconda della conformazione, dell’età dell’animale, del tipo di grasso e di molti altri fattori è concesso portare avanti la frollatura senza avariare il prodotto. Le lombate bovine – perché per lo più si tratta di loro – si ossidano esternamente e la carne si asciuga, disidratandosi. All’interno, però, i processi chimici (proteolisi e lipolisi) continuano. La carne “lavora” e guadagna note particolari di gusto: se è buona il sapore migliora – alcune carni prendono aromi fruttati, talvolta di frutta secca oppure vanigliati; alle volte le muffe danno spiccate note erborinate –, se non lo è peggiora sensibilmente.

Caduto in disuso molti anni fa, oggi il Dry Aging sta vivendo un periodo florido grazie alla sempre maggiore ricerca di carni di qualità.

È importante sapere che questa procedura è costosa e non sempre i macellai sono disposti a intraprenderla. La frollatura “a secco”, infatti, comporta un certo calo di peso della carcassa – si arriva a superare il 10%, con conseguente aumento dei costi e del prezzo finale. Altro fattore è lo scarto: le parti esterne del taglio non sono edibili, vanno rifilate e scartate: un’ulteriore perdita di prodotto. In ultimo, viste le tempistiche, i macellai sono costretti a “tenere fermo” l’investimento occupando gli ambienti di stoccaggio: tutto ciò naturalmente ha un costo e non tutti hanno la voglia o la possibilità di affrontarlo. Non per niente le carni della grande distribuzione hanno solo pochi giorni di frollatura.

Esiste allora un modo più economico per frollare la carne?

Sì, e lo usano soprattutto gli statunitensi, gli inglesi e oggi molte grandi industrie: si tratta del Wet Aging, ossia della frollatura in umido. Il termine frollatura in questo caso non sarebbe appropriato, ma si usa per semplificare.

Il Wet Aging consiste nel porre tagli di carne di piccola pezzatura, in genere privi di osso, in sacchetti sottovuoto. Nel giro di un paio di settimane, e comunque quasi mai oltre i trenta giorni, la carne si ammorbidisce senza calare di peso. I succhi fuoriescono dalle fibre grazie al sottovuoto, e avvolgono il pezzo mantenendolo bagnato e succulento. La carne sostanzialmente macera.

Quello che il Wet Aging non può conferire è l’aromaticità del prodotto. È una tecnica di compromesso che evita la durezza e la banalità della carne “fresca”, ma non si ottiene certamente il gusto – a dire il vero, il sapore della carne “frollata” in umido è più ferroso, si sente di più il sangue.

Riassumendo: la carne appena macellata non si può mangiare e le due maggiori tecniche di frollatura sono il Dry Aging e il Wet Aging.

Ci sono poi ulteriori modi per intenerire oppure dare aromi alla carne, ma qui si aprono vie infinite.

Ho assistito -durante un’esposizione dell’esperto in materia, chef E. Murgia- al trattamento di alcuni tagli con gli ultrasuoni e ho notato che, nel giro di mezz’ora o poco più, la carne (in pezzi piccoli) guadagna una tenerezza estrema: si tratta più che altro di uno sfibramento. Lo trovo opportuno per parti dure, adatte generalmente alle lunghe cotture. Con gli ultrasuoni, per esempio, un cappello del prete trattato quaranta minuti può essere poi scottato in padella e mangiato al sangue, risultando tenero quanto uno scamone. In questo caso si ha anche un risparmio economico. Non è invece opportuno su tagli già teneri come le lombate o i filetti, specie se di buona qualità.

Talvolta la frollatura non è sufficiente a intenerire alcune parti anatomiche più tenaci. Si pratica allora la cosiddetta frollatura meccanica, che non è una frollatura, bensì una procedura di destrutturazione e sfilamento muscolare per mezzo dell’inteneritrice, un macchinario che fora la carne con aghi molto fini.

In certi casi il termine frollatura è usato per sostituire il più corretto gergo tecnico “affinamento”. Io personalmente ho sviluppato la frollatura in acqua di mare e con la cenere: sono tecniche, appunto, di affinamento, che donano nuovi aromi e caratteristiche sorprendenti alla carne, ma non sono propriamente frollature.

Il termine frollatura oggi è molto usato e spesso abusato, ma ben venga! Io penso che il suo utilizzo diffuso denoti una specie di upgrade degli appassionati e di conseguenza dei produttori.

Nel mio ristorante, sempre più spesso, i clienti cercano carni con lunghe frollature: mi accorgo che non tutti sanno bene di cosa si tratta, ma le richiedono perché associano il termine “lunga frollatura” alla qualità del prodotto. È un buon inizio.

Naturalmente io accontento il desiderio dell’avventore che, pur inconsapevolmente, con le sue richieste incrementa la domanda di carni di qualità. È una ruota, un ciclo virtuoso. Il cliente vuole carni ben frollate, io le ordino, il macellaio le fa e la qualità di questo mercato aumenta. Speriamo sia davvero così!

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